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Roma II - La riforma monetaria di Augusto
La riforma monetaria di Augusto 1.1 Il sistema monetario sotto Giulio Cesare 1.2 Il disordine monetario sotto i triunviri 1.3 La riforma monetaria di Augusto (27 a.C.)

La riforma monetaria di Augusto

2.1            Il sistema monetario sotto Giulio Cesare

Il 12 gennaio del 49 a.C. Cesare passava in armi il Rubicone. Alea iacta est. Inizia in questo modo la rivoluzione che in cinque anni smantellerà la Repubblica, ovvero il potere oligarchico delle istituzioni repubblicane. Prende avvio la costruzione di nuove fondamenta capaci di reggere il peso di un impero che accomunava genti diverse, differenti civiltà e disparate condizioni economiche. Quest'opera rivoluzionaria investì anche la moneta e con essa l'amministrazione finanziaria dello Stato.

Arrivato a Roma, Cesare trovò nelle casse dello stato custodite nel tempio di Saturno soltanto 15 mila libbre d'oro in lingotti, 30 mila libbre in argento e uno stock di monete già coniate per un importo complessivo di 30 milioni di sesterzi, ossia 7,5 milioni di denarii: queste monete furono le ultime a circolare previa autorizzazione alla loro emissione da parte del Senato. Le lettere S e C impresse nelle monete e che significavano (ex) Senatus Consulto, vale a dire la sovranità monetaria esercitata dal Senato fin dalla costituzione della Res Publica, non furono più impresse nella monetazione di Cesare. Il diritto di battere moneta fu infatti assunto da quel momento da lui, prima come conquistatore dell'Italia e poi come dictator.

Fig. 1 – Denario di Cesare (47-46 a.C.). British Museum.

Tra una campagna militare e l'altra Cesare mise in atto anche la riforma monetaria, della quale si avvertiva un'esigenza profonda per risanare la circolazione e per dare fiducia ai capitali dopo anni di guerre civili. Durante l'anno 49 a.C. fece emettere la sue prime monete in oro in Roma nella duplice versione di un denario (denarius aureus) e di un mezzo denario (fig.2-3), le quali si ponevano al fianco del denario e mezzo denario d'argento (fig.1). Riprese anche l'emissione del sesterzio, che non era stato più emesso dopo le emissioni disposte con la lex Papiria dell'89 a.C., nonché dell'asse di bronzo anch'esso non più coniato dagli anni ottanta del I secolo a.C.

Fig. 2 – Emissione aurea di Cesare (49-48 a.C.). British Museum.

L'aureo di Cerare pesava 1/40 di libbra (8,19 grammi) pari a 25 denari d'argento; il quinario d'oro ovviamente la metà. Queste monete recano sul rovescio un trofeo con sotto scritto Caesar e sul diritto il busto della Pietas con accanto un gruppo di tre segni IIT (fig.2): questo segno, in passato, è stato considerato come l'abbreviazione di Imperator Iterum per celebrare o ricordare il secondo consolato di Cesare che doveva avere inizio; oggi si ritiene che la T sia rovesciata e quindi rappresenti in realtà una L, posta a indicare l'età di Cesare che nel 49 a.C. compiva 52 anni.

Non è noto il volume delle emissioni auree, né quello delle monete d'argento, tuttavia dovettero essere molto abbondanti dato che il bisogno di moneta era molto acuto e il metallo da monetare fu via via trovato nelle varie campagne militari e anche, come ricordano le fonti, sequestrando le offerte d'oro e d'argento depositate nei templi e nei santuari.

Fig. 3 – Emissione aurea di Cesare dictator perpetuus (44 a.C.). British Museum.

Tra il 49 e il 48 a.C. la circolazione monetaria di Roma ridivenne dunque, per merito di Cesare, bimetallica, ma questa volta articolata sull'oro e sull'argento, e con monete di rame a carattere meramente divisionario e fiduciario. Anche le monete in oricalco, quelle emesse in una lega di quattro parti di rame e una di zinco, rientrano della monetazione fiduciaria.

è noto dalle fonti che durante i trionfi celebrati a Roma nell'anno 46 e in quello successivo, il 45, i due prefetti cesariani di Roma, Aulo Irzio e L. Munazio Planco, emisero grandi quantità di aurei. Da quel momento la monetazione romana aurea divenne regolare, entrò cioè stabilmente  nella circolazione monetaria, con il solito cambio, divenuto ormai ufficiale anche per le provincie, di un aureo per 25 denarii. In questi due anni la zecca di Roma emise 20 serie di aurei da 40 mila pezzi ciascuna[1].

Indipendentemente dai volumi di emissione delle varie specie monetarie, si ebbe in tutto l'impero l'unificazione dei segni monetari e quindi l'avvio verso la definitiva scomparsa delle monetazioni provinciali romane e locali, salvo poche eccezioni e generalmente limitate alle monete fiduciarie e con circolazione rigorosamente circoscritta agli scambi locali come la monetazione dell'Egitto (vedi tab.1).

Tab. 1 – Il sistema monetario di Giulio Cesare (49-44 a.C.).

La coniazione locale dell'argento fu autorizzata solo per le grandi città della parte orientale dell'impero: Efeso, Antiochia e Alessandria poterono continuare a battere moneta d'argento, ma sotto lo stretto controllo dei rispettivi governatori romani.

Giulio Cesare fu il primo non tanto a comprendere, perché certe esigenze erano sentite a diversi livelli, quanto ad attuare il principio di una moneta universale, con cambi legalmente definiti e a concentrarla presso la più alta autorità, che in quel momento risiedeva nella sua persona. Cesare, come tolse al Senato il privilegio di battere moneta, così lo tolse ad ogni comandante nelle varie provincie (legati senatorii, generali, consoli, proconsoli, pretori ecc.) che a loro volta lo avevano ricevuto dal Senato.

Cesare assicurò la stabilità monetaria, da molto tempo perduta, e realizzò una delle più grandi conquiste economiche come la convertibilità piena e indiscussa delle monete di Roma in tutte le provincie e regni all'interno dei confini dell'impero. Questa opera di unificazione, che fu interrotta con la morte di Cesare e poi ripresa da Augusto, comportava due conseguenze di grande rilievo: primo l'unificazione monetaria dell'impero avrebbe comportato quella dei mercati e delle genti; secondo la moneta sarebbe divenuta simbolo e mezzo di appartenenza di tutte le genti ad un unico organismo politico, che difendeva la pace e rispettava le ricchezze altrui. Da questo momento in poi sarebbe stato quasi impossibile far insorgere contro Roma le città italiche o le provincie legate indissolubilmente da un'unica moneta, cosa che riuscì in passato a Pirro e Annibale.

 

2.2            Il disordine monetario sotto i triunviri

Alcuni cenni storici

Era il 15 marzo del 44 a.C. quando Cesare venne assassinato e a Roma ritornò l'incubo della guerra civile. Ottaviano (unico erede designato), Marco Antonio e M. Emilio Lepido uniti insieme nel Secondo Triunvirato diedero la caccia ai cesaricidi Bruto e Cassio culminata con la loro sconfitta nella celebre battaglia di Filippi del 42 a.C. Così i triumviri giunsero a un nuovo accordo e a una nuova spartizione dei domini, i cosiddetti accordi di Brindisi: a Ottaviano l'Occidente e ad Antonio l'Oriente, mentre a Lepido andò l'Africa.

A questo punto l'unico nemico dei triumviri era Sesto Pompeo: il figlio del defunto Pompeo Magno, rifugiatosi in Spagna con quanto restava delle armate del partito pompeiano compresa un ingente flotta. Con questa forza navale, Sesto occupò la Sicilia, raccogliendo intorno a sé tutti i nemici dei triumviri e dando vita a un vero e proprio blocco navale contro Roma, che si ritrovava senza adeguati rifornimenti granari (39 a.C.). Intervenuto nel 38 a.C. Ottaviano fu battuto in uno scontro navale da Sesto, riportando gravi perdite. Fu allora che egli richiamò dalla Gallia il suo legato Marco Vipsanio Agrippa. Dopo adeguati preparativi, seguiti con grande scrupolo dallo stesso Agrippa, nel 36 a.C. Ottaviano attaccò di nuovo Sesto Pompeo che venne sconfitto nella battaglia di Nauloco.  Dopo la vittoria, Ottaviano dovette far fronte alle richieste di Lepido, che rivoleva per sé la Sicilia, ma abbandonato da tutti i suoi soldati, Lepido fu punito dal figlio adottivo di Cesare con la privazione di tutti i suoi poteri: a contendersi il potere erano rimasti solo in due, Marco Antonio ed Ottaviano.

Nel 34 a.C., ad Alessandria d'Egitto, Antonio proclamò pubblicamente che Cesarione (il figlio che Cleopatra aveva avuto da Cesare) era il legittimo erede di Cesare e gli diede il titolo di “re dei re” (Cleopatra “regina dei re”). Tutto ciò scatenò l'indignazione generale dei romani. Cavalcando questa situazione, Ottaviano riuscì a screditare definitivamente Antonio, ottenendo il consolato per l'anno 31 e la dichiarazione di guerra contro Cleopatra. Lo scontro finale avvenne il 2 settembre del 31 a.C. nella baia di Azio che culminò con la sconfitta e la fuga di Cleopatra e Antonio in Egitto dove si suicidarono. Ottaviano era ormai il signore indiscusso di Roma. Tre anni dopo, con l'assunzione del titolo di princeps avrebbe posto definitivamente fine al regime repubblicano, dando così inizio all'età imperiale, che in questa prima fase è conosciuta col nome di Principato.

Le monete dei signori della guerra

Detto questo risulta facile intuire come le avulse vicende politiche di Roma si siano ripercosse anche sulla monetazione.

Morto Cesare, Antonio si ricongiunse con Lepido nella Gallia narbonese contro D. Bruto. I due si misero subito a battere moneta ed emisero denarii con impressi i loro nomi e il titolo di imperatori, ossia di supremi comandanti (fig.4).

Fig. 4 – Denario di M. Antonio ed E. Lepido col titolo di Imperator (43 a.C.). British Museum.

Ad altre emissioni di denarii (fig.5), accompagnati da quelle dei quinarii d'argento, provvide sempre Antonio nella medesima estate del 43 a.C.: queste monete furono emesse a Lugdunum (odierna Lione) e recavano la sigla AXL per celebrare il suo 40° anno di età. La loro emissione non dovrebbe essere stata abbondante poiché limitata alle sole Gallie.

Fig. 5 – Quinario di M. Antonio, zecca di Lugdumun (43 a.C.). British Museum.

Non è da escludere che Antonio abbia coniato denarii suberati al fine di risparmiare metallo prezioso. Tuttavia non dovrebbe rispondere al vero l'affermazione di Plinio il Vecchio (Plin. I,33,9), secondo la quale Antonio avrebbe emesso in Gallia denarii d'argento con un'anima di ferro, data la difficoltà tecnica di una simile operazione. Molto probabilmente, secondo l'uso di tutti i comandanti a corto di metallo prezioso, che anche Antonio avrà fatto ricorso all'espediente di battere monete con l'anima di rame, oppure in lega, aggiungendo all'argento una certa quantità di rame, tale comunque da non alterare troppo il loro aspetto esteriore.

Nel frattempo anche C. Sesto Pompeo emise, su autorizzazione del senato, aurei e denarii con impresse le sigle del suo supremo grado “praefectus classis et orae marittimae”, ossia comandante supremo della flotta (fig.6).

Fig. 6 – Aureo e denario di C. Sextius Pompeius, Sicilia (42-40 a.C.). British Museum.

Costituito il triunvirato nel 43 a.C., Ottaviano Antonio e Lepido ricevevano con la lex Titia, approvata dai comizi, i pieni poteri della Repubblica, compreso quello di battere moneta, della quale c'era grande necessità. Occorreva infatti fornire paghe, armi e vettovagliamenti agli effettivi delle 43 legioni arruolate e ai corpi ausiliari, per un totale di circa 200 mila uomini. Così, per affermare il loro potere, i triunviri iniziarono a battere moneta insieme, con i loro nomi abbreviati e con la sigla III viri rei publicae constituendae (fig.7).

Fig. 7 – Aureo di M. Antonio e Ottaviano con legenda “III. VIR. R. P. C.”(39 a.C.). British Museum.

Alla stregua di questi anche i cesaricidi Bruto e Cassio battevano moneta in nome proprio (fig.8). Quest'ultimo, coerentemente con il suo spirito repubblicano, fu l'unica persona tra le tante investite di comando a non apporre sulle monete la propria effige, ma soltanto il nome.

Fig. 8 – Aurei di Brutus e Cassius (43-42 a.C.). British Museum.

L'apice dello scollamento della monetazione romana di quei tempi, durante i quali ogni potere agì in modo autonomo, fu raggiunto da Antonio in Oriente: probabilmente a corto di argento, egli fece nuovamente ricorso all'oricalco (come già detto per Cesare), emettendo una serie di monete abbastanza articolate che ricordavano la monetazioni repubblicane più antiche. Furono infatti emessi in oricalco sesterzi del valore di 4 assi, ai quali vennero affiancati pezzi da 3, da 2 e da un asse, seguito dal mezzo asse. L'asse in oricalco pesava ¼ di oncia, ossia 6,8 grammi nei tipi più pesanti. Si trattava di una monetazione a carattere meramente fiduciario che contribuì ad accrescere la confusione nei valori e quindi nei vari rapporti economici. A questo si deve aggiungere che le zecche più importanti come Antiochia coniavano ancora il tetradramma locale in argento.

L'ultima emissione di questo caotico periodo fu in occasione della vittoria di Azio con la conquista dell'Egitto da parte di Ottaviano con i famosi denarii e sesterzi con la legenda AEGVPTO CAPTA (fig.9).

Fig. 9 – Denario di Ottaviano per celebrare la conquista dell'Egitto (28 a.C.). British Museum.

Sarà a questa situazione di caos che Augusto porrà fine con la sua nuova riforma monetaria del 23 a.C.

2.3            La riforma monetaria di Augusto (23 a.C.)

La legittimazione del potere

Prima di illustrare in dettaglio le linee di tale riforma, si deve premettere che Augusto volle mettervi mano soltanto dopo che si ritrovò unico padrone della scena politica romana e solo dopo che ebbe legittimato costituzionalmente il suo potere. Infatti, bisogna ricordare che dopo la vittoria riportata ad Azio sulle forze di Marco Antonio e Cleopatra, Ottaviano non era ancora divenuto Augusto, ma era solamente uno dei membri del II Triunvirato, l'unico rimasto in carica. Poteva, però, contare su una personalità fortemente carismatica derivatagli dal fatto di essere il nipote di Cesare e di aver riportato la pace a Roma dopo decenni di guerre. Perciò egli si dedicò a consolidare il suo potere e soprattutto a conferirgli una veste costituzionalmente inattaccabile per mettersi al riparo dai vari scossoni politici che negli anni precedenti avevano segnato il destino di personalità molto apprezzate come Cesare e Marco Antonio.

In quest'opera, Ottaviano dimostrò tutte le sue abilità, tanto che in poco tempo ottenne la legittimazione della propria autorità con il conferimento del titolo di Augustus, che si fece riconoscere dal Senato romano nel 27 a.C. e grazie all'attribuzione nel 23 a.C. dei due più grandi poteri previsti dalla tradizione repubblicana: l'imperium proconsolare, in base al quale poteva avere il controllo militare su tutte le provincie dell'impero; e la tribunicias potestas che gli assegnava di fatto le funzioni di tribuno della plebe come quella di convocare i comizi, porre il veto sulle proposte di legge, ma soprattutto lo investiva della sacrosanctitas, cioè dell'inviolabilità della persona.

In questo modo ebbe termine la lunga fase repubblicana della storia di Roma e iniziò contemporaneamente quella imperiale.

Premesse per una nuova riforma

Tuttavia, la grande importanza della politica di Augusto non fu soltanto legata ai poteri della sua persona, quanto piuttosto a tutta una serie di riforme di natura amministrativa e militare che diedero un nuovo volto all'intero Stato romano. Questo comportò la soluzione di problemi di primaria importanza e vastissima portata direttamente dipendenti da decenni di guerre civili e dall'estensione territoriale dei domini di Roma che comprendevano tutto il bacino del Mediterraneo. Ed è proprio in quest'ambito di opere riformatrici che va collocato anche il riassetto organico della moneta.

I metalli preziosi prima utilizzati anche dagli altri contendenti nelle guerre civili per coniare moneta, ora erano tutti a disposizione di Augusto. A questo si aggiunge che la conquista dell'Egitto e la guerra in Spagna avevano procurato grandi quantità di metalli. Inoltre erano stati aumentati i tributi imposti alle provincie. Le emissioni di Augusto furono, così, veramente ingenti. Nel doveroso impegno di riassettate le condizioni economico-monetarie e di ravvivare i commerci agiva certamente anche il preciso fine politico di un sostegno molto concreto al regime che si veniva instaurando. Le monete portarono un contributo validissimo nell'attestare che la res publica era passata tutta nel potere di un princeps dotato di una auctoritas che consentiva provvedimenti rapidi e, se necessario, radicali.

Come è stato illustrato poc'anzi, le emissioni di moneta in bronzo si erano di fatto interrotte verso la fine degli anni '80 del I sec. a.C. ed erano rimasti sul mercato vecchi tagli, in particolare assi di standard sestantale e unciale, che avevano pesi estremamente variabili e dopo una lunga circolazione erano spesso irriconoscibili. Contemporaneamente anche l'affidabilità di buona parte delle monete in metallo prezioso era venuta meno durante i conflitti civili a causa delle numerose alterazioni di peso e nel fino spesso taciute e nascoste dalle varie autorità militari emittenti. Tutto ciò costituiva un ostacolo non solo alla circolazione monetaria, ma soprattutto all'imposizione e alla riscossione delle tasse.

Per porre rimedio ad una situazione così caotica e quasi incontrollabile, Ottaviano, fece una serie di interventi che costituirono i presupposti della successiva riforma: occorreva ridare fiato all'economia del suo nuovo impero prima di imporvi un cambiamento radicale. Per questo motivo le emissioni successive alla battaglia di Azio non si distinguono dalle precedenti e sono costituite principalmente da aurei, denari e quinari, battuti in diverse officine monetarie periferiche in virtù dell'imperium militare, ma ebbero il merito di avere un elevato grado di purezza (il massimo per quell'epoca) così come il peso fu riportato agli standard precedenti le guerre civili: l'aureo fu coniato con oro praticamente puro e tagliato su un piede pari ad 1/40 della libbra romana ossia 8,19 grammi; il denario con argento puro e peso pari ad 1/84 della libbra ossia 3,99 grammi; il rapporto di cambio tra questi due nominali ritornò ad essere quello stabilito da Cesare di 1:25.

Questa prima risposta poteva considerarsi soltanto come una soluzione parziale del problema, in quanto se da una parte veniva incontro ai bisogni primari dello stato, dall'altra non soddisfava le esigenze del piccolo scambio e non eliminava le differenze dei vari sistemi diffusi in tutto l'impero. Il fine ultimo dell'opera riformatrice di Augusto era la costituzione di un sistema monetario definitivo e molto articolato, atto a consentire sia le grandi transazioni finanziarie sia i commerci e le contrattazioni di modesto e piccolo volume così necessarie dal punto di vista sociale.

A questo proposito egli avviò una sorta di sperimentazione monetaria già nel 28 a.C. in Oriente nelle zecche di Efeso e Pergamo, la quale per molti versi costituisce un anticipazione della riforma successiva. Qui riprese la coniazione del cistoforo d'argento (fig.10), nominale caratteristico dell'Asia Minore che a partire dall'epoca di Marco Antonio era entrato a far parte del sistema romano con tariffazione ufficiale a tre denari.

Fig. 10 – Cistofori di Ottaviano Augusto (28 a.C.). British Museum.

Tuttavia egli sfruttò queste zecche anche per produrre una serie estremamente cospicua di nominali fiduciari in bronzo del valore corrispondente a quelle di alcuni tagli tradizionali dell'epoca repubblicana, come il sesterzio, il dupondio, l'asse e il semisse. Per distinguere i vari nominali furono adottati due criteri differenti: il primo basato sul peso e sul diametro, il secondo sul colore ovvero sulla lega impiegata per produrli. L'asse fu battuto in rame da tipico colore rosso; gli altri tre tutti in oricalco, una lega di rame e zinco (simile all'ottone), dal colore giallo dorato.

Queste innovazioni ottennero subito un diffuso gradimento in tutte le regioni del Mediterraneo orientale, dove circolavano in grande quantità ed affiorano ancora oggi in molti contesti archeologici.

Questo, oltre a stabilizzare l'economia delle provincie diffondendo l'uso del sistema romano, fu la dimostrazione più immediata che una soluzione di questo tipo sarebbe stata la più idonea a risolvere i problemi dell'intero Stato romano.

La riforma monetaria

Quanto detto finora ci consente di comprendere meglio le ragioni che portarono a quell'intervento di riforma sulla moneta operato da Augusto, il quale rappresenta uno dei momenti più importanti e significativi non soltanto nella storia di questo strumento, ma anche nello sviluppo dell'intera Civiltà Occidentale, in quanto essa portò all'unificazione monetaria di gran parte del mondo allora conosciuto e costituì la logica premessa di futuri interventi di riforma. è impossibile datare con esattezza questa riforma. Molto probabilmente essa prese il via il 23 a.C. con l'apertura della zecca di Roma ma, come premesso in precedenza, doveva essere stata preparata fin dal ritorno dall'Oriente, allorché il principe trascorse quasi due anni meditando sulle riforme costituzionali, che poi applicò con grande arte politica.

Per il suo compimento, infatti, fu necessario raccogliere e ridistribuire rapidamente un'enorme quantità di risorse finanziarie, che non avrebbero potuto circolare se non in presenza di una monetazione affidabile, abbondante e riconoscibile in ogni angolo del vastissimo impero, e la quale potesse essere accettata e impiegata in qualsiasi ambito.

Nel 23 a.C., pertanto, riaprì la zecca di Roma dando attuazione alla riforma monetaria che di fatto si basò sull'estensione alla monetazione urbica delle innovazioni sperimentate nelle regioni orientali dell'impero: Augusto organizza un sistema nel quale la moneta in æ, prima saltuaria, venisse coniata in modo sistematico. Ma l'elemento innovativo fu la creazione di un articolato insieme di nominali, ciascuno dei quali era legato agli altri da precisi rapporti fissi di cambio. Di questi, solo quelli coniati in oro (aureo e quinario aureo) e quelli prodotti in argento (denario e quinario argenteo) ebbero un valore facciale corrispondente a quello del metallo con cui erano coniati; mentre ai nominali minori in oricalco (sesterzio e dupondio) e in rame (asse, semisse e quadrante) fu attribuito un valore puramente fiduciario, cioè non basato sul valore intrinseco del metallo quanto sul potere di essere convertiti in monete d'oro e d'argento secondo precisi rapporti di cambio (tab.2).

Il nuovo sistema monetario introdotto da Augusto era dunque formato, tra multipli e sottomultipli, tra monete d'oro, d'argento e in metallo meno nobile, da ben 9 pezzi che sono elencati in tabella accompagnati dai rispettivi valori di cambio.

Tab. 2 – Il sistema monetario di Augusto (23 a.C.).

La moneta d'oro

Il denarius aureus coniato a partire da Silla venne confermato e portato a 1/42 di libbra con un elevatissimo grado di purezza. L'aureo conquistò con Augusto un posto fondamentale nella monetazione romana e venne coniato in quantitativi massicci tanto da rappresentare la vera ancora di tutto il sistema (fig.11). Fu sostituito solo agli inizi del IV secolo dal solido di Costantino.

Insieme all'aureo venne battuta sporadicamente anche la sua metà, il quinario, nominale che non godette di grande fortuna tranne che con Tiberio, imperatore che lo fece coniare per tutto il suo regno sempre con la medesima raffigurazione della vittoria su globo.

Fig. 11 – Aurei Augusto (18 a.C.). Zecca di Lugdunum. British Museum.

Vi era infine un'ultima moneta, il quaternione, dal grandissimo valore di 4 aurei e dall'ingente peso di 31,5 grammi circa, ebbe una circolazione limitatissima dato il suo elevato potere d'acquisto (fig.12). Il quaternione può essere assimilato a un medaglione e molto probabilmente veniva usato come speciale ricompensa per particolari servizi prestati nell'ambito del fiscus o presso le legioni. In certe occasioni il principe si degnava di regalare questa moneta che valeva ben 100 denarii. Ad oggi si conoscono solo 3 esemplari di questa moneta/medaglia: uno, di sicura autenticità, fu ritrovato a Pompei nel 1757 e conservato, attualmente, nel Museo Nazionale di Napoli; il secondo comparve nel Museo d'Este senza alcuna indicazione, ritenuto in un primo momento falso, oggi si propende per la sua autenticità per caratteristiche stilistiche e tipologiche; il terzo ed ultimo, invece, comparve nel Museo di Madrid, ed è da sempre considerato un falso.

Fig. 12 – Quaternione di Augusto (2 a.C.-4 d.C.). Museo Nazionale di Napoli .

La moneta d'argento

Il denarius argenteus che era stato, come abbiamo visto, la moneta principale della repubblica, fu mantenuto e coniato secondo una frazione di 1/84 di libbra anziché di 1/72 come in origine (fig.13). La caratteristica più importante di questo nuovo denario era il suo elevato contenuto di fino che lo riportava all'antico splendore dopo il difficile periodo della guerra civile durante il quale si coniavano monete di scarsa qualità per far fronte alle spese militari.

Fig. 13 – Denari di Augusto (19-18 e 11-10 d.C.). British Museum.

Insieme al denario si mantenne anche il quinarius argenteus, ovvero la sua metà, coniato in quantitativi di gran lunga inferiori.

La moneta enea

Come già accennato, le novità principali della riforma di Augusto sono da ricercarsi nella monetazione enea, che era stata trascurata e praticamente non coniata per tutto il periodo intercorso tra Silla e Cesare, durante il quale gli utenti avevano anche fatto ricorso al frazionamento delle vecchie monete per creare circolante di necessità, prassi che aveva certamente contribuito ad aumentare il già dilagante disordine.

Diversamente da quanto era stato fatto durante la repubblica, Augusto impiegò rame puro e mai bronzo per la coniazione di nominali minori; inoltre introdusse, su vasta scala, l'uso dell'oricalco (lega di rame e zinco) considerato di valore superiore al rame stesso. Così, modulando il diverso valore dell'oricalco e del rame vennero prodotte quattro pezzature diverse senza raggiungere il peso eccessivo dei nominali maggiori di epoca repubblicana. Nonostante la buona qualità il loro corso rimase fiduciario ed esse non erano accettate per il loro valore intrinseco come per gli aurei e i denari.

Il sesterzio era coniato in bronzo, il dupondio in oricalco e insieme rappresentavano i nominali maggiori (fig.14-15); seguivano poi l'asse e il quadrante in rame. Eccezionalmente comparve il semisse, cioè la metà dell'asse. Tutti questi erano legati insieme da precisi valori di cambio: 1 sesterzio = 2 dupondi o 4 assi e cosi via (vedi tab.2).

Fig. 14 – Dupondio di Augusto e Agrippa di Nemaus (11-10 a.C.). British Museum.

Questa organizzazione della moneta enea avrebbe retto per circa tre secoli, pur con una progressiva riduzione del peso delle monete. Il suo successo fu motivato sia dalla variegatura dei nominali che permetteva agli utenti di assolvere ad ogni esigenza di spesa, sia dall'utilizzo dell'oricalco che permetteva allo Stato un grosso risparmio di metallo evitando la creazione di nominali troppo pesanti e permetteva al pubblico di operare acquisti che precedentemente obbliavano all'uso dell'argento.

Effetti della riforma

Delineata la riforma augustea, incalcolabili appaiono le conseguenze che tale riordino ebbe su un mercato dalle dimensioni enormi, irrorato continuamente da abbondanti emissioni basate su tagli che si adattavano a tutte le esigenze di scambio, dalla grande transazione all'acquisto al minuto, e garantito dalla stabilità di un sistema monetario che consentiva di utilizzare le stesse monete con il medesimo valore in tutte le regioni di un vastissimo impero. Anche l'analisi dei rinvenimenti monetali documenta con relativa uniformità in molte aree dell'Impero di Roma come le monete di epoca augustea e dei suoi immediati successori coprano percentuali elevatissime rispetto a quelle di altri periodi. In altre parole, possiamo documentare che grazie alla riforma di Augusto, per la prima volta nel mondo antico, la moneta divenne uno strumento molto simile a quello odierno, ossia principale intermediario di scambio, fondamentale misura di valore e bene primario per l'accumulo di ricchezza.

Riguardo alle provincie, è stato illustrato precedentemente come Augusto aveva messo alla prova con successo alcuni elementi portanti del suo nuovo assetto monetario, diffondendo in questo modo il sistema di conto romano anche in regioni tradizionalmente abituate ad altri sistemi principalmente di derivazione greco-ellenistica. In seguito, però, chiusa questa partesi sperimentale, le linee della politica monetaria augustea si fecero più elastiche e finirono con il generare due aree monetarie differenti, per quanto saldamente collegate. La prima, nel cui ambito rientrano l'Italia e le provincie occidentali, saldamente ancorata al sistema augusteo. Nella seconda, che comprende il Mediterraneo Orientale e le aree nord-africane, si ricorse ad una pratica diversamente articolata ed integrata: i nominali in metallo prezioso (aureo e denario) ebbero libera circolazione, ma a questi si affiancarono anche i cistofori; mentre per le monete spicciole si lasciò alle singole comunità di questa porzione dell'impero una certa libertà nel dar corso ad emissioni monetare sulla base delle esigenze locali, sempre nel rispetto del sistema di conto romano e dell'autorità emittente principale che era sempre e comunque l'imperatore.

L'autorità emittente

Tutti questi elementi ci indicano senza ombra di dubbio che la riforma, data la sua organicità, fu il frutto di un programma unitario che possiamo ascrivere con sufficiente grado di certezza allo stesso Augusto.

Fig. 15 – Sesterzio e dupondio con sigla S C e leggenda III VIRI AAAFF (18-17 a.C.). British Museum.

Ciò appare ancora più indiscutibile quando si analizzano le soluzioni giuridiche che furono adottate per l'emissione di queste monete che, come in tutte le scelte di Augusto, sono ancora una volta caratterizzate dalla prudenza. Infatti, tutte le monete coniate dalla zecca di Roma portano l'indicazione “III VIRI AAAFF” di quella magistratura che fin dal III sec. a.C. era stata demandata alla produzione monetaria. Ed è proprio in questo spirito tradizionalista che va inquadrata la sigla S C (ossa Senatus Consulto)  sulle monete di rame e di oricalco. Di contro, l'emissione delle monete d'oro e d'argento divenne prerogativa del principe e tale rimase nei secoli seguenti.

La spiegazione che ha dominato a partire dalla metà dell'Ottocento e che Augusto abbia condiviso con il Senato la responsabilità dell'emissione della moneta. Oggi, però, questa tesi trova sempre meno sostenitori dato che riesce difficile credere che Augusto avesse in materia monetaria un potere effettivamente paritetico a quello del Senato. Inoltre non si può pensare che il Senato potesse decidere autonomamente nelle delibere i quantitativi delle emissioni con il solo vincolo della disponibilità di metalli. è quindi evidente che i rapporti quantitativi tra emissioni in oro, argento e æ potevano essere calcolati, e quindi autorizzati, solo da un unico ufficio che non poteva di certo sfuggire al controllo diretto dello stesso Augusto. Per questo motivo si tende a credere che la responsabilità della produzione monetaria fosse comunque una prerogativa assoluta dell'imperatore che l'avrebbe esercitata in parte direttamente e in piena autonomia ed in parte facendo riferimento ad una autorizzazione formale dell'organo che in passato deteneva il potere di coniare la moneta. La sigla S C aveva, quindi, una rilevanza psicologica molto importante, poiché rifletteva chiari aspetti propagandistici ostentando il rispetto di Augusto nei confronti del Senato, perché denotava che quest'ultimo aveva una parte nelle questioni monetarie.

Inoltre, c'è un altro fattore da considerare, quello dell'esuberanza di emissioni di aurei, quinari e soprattutto denari d'argento che derivava sia dalla grande disponibilità dei metalli, ma anche dall'ambizione dello stesso Augusto di dare un immagine di straordinaria efficienza anche in campo monetale che dovette portare a qualche eccesso. La volontà di Augusto del resto si inquadra in quel potere che egli dichiarò rimesso spontaneamente dalle sue mani all'arbitro del Senato e del Popolo Romano, per il quale proprio un Senatus Consulto (S C) lo chiamò Augustus. In conseguenza di questa decisione del Senato egli precedette tutti in fatto di auctoritas, non detenendo invece maggiore potestas dei colleghi nelle magistrature da lui rivestite. Ma l'auctoritas può prevalere quando egli lo creda e lo ritenga necessario. La moneta in metallo prezioso è di fatto un espressione della sua auctoritas, cioè di quel potere ricevuto dal Senato e dal Popolo Romano, mentre sotto il profilo formalmente legale l'autorità di battere moneta discendeva dalla sua condizione di imperator. Una delle massime cariche del principe era quella dell'imperium proconsolare maius et infinitus, la quale, fin dall'età repubblicana, comprendeva il diritto di battere moneta come del resto fecero i suoi predecessori.

Ma troppo abile e astuto per manifestarsi di colpo, Augusto per diversi anni fece apporre, nelle emissioni della zecca di Roma dal 19 al 4 a.C. i nomi dei triunviri monetali sulle monete nei vari metalli con la specificazione estesa della loro carica III VIRI AAAFF, ossia i tresviri auro argento aere flando feriundo. Ma il nome o il ritratto, più spesso entrambi, di Augusto compaiono costantemente. Anche Agrippa, destinato da Augusto alla successione, fu investito di imperium proconsolare ed ebbe il privilegio di un ritratto su di un asse dove vi è raffigurato anche Nettuno a ricordo delle sue virtù di ammiraglio.

Fig. 16 – Asse di Agrippa con Nettuno sul R/. (27-12 a.C.).


Dott. Marco C. Esposito

25/08/2016

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