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Roma I - La monetazione repubblicana
La monetazione repubblicana 1.1 Le fasi premonetali 1.2 La nascita della moneta 1.3 L’aes grave e le riduzioni ponderali 1.4 L’introduzione del denarius e la sua diffusione

La monetazione repubblicana

1.1                Le fasi premonetali

La moneta intesa nel senso moderno del termine, cioè come emissione ufficiale dello Stato, nasce a Roma piuttosto tardi rispetto alla moneta in Grecia, nella Magna Grecia, in Sicilia e in Etruria. Infatti, a discapito della sua precoce fortuna politica e militare, Roma giunse a coniare e ad utilizzare la moneta relativamente tardi, soltanto a partire dalla fine del IV sec. a.C. Precedentemente, non solo Roma non ebbe una monetazione propria, ma, caso estremamente singolare, stando alla documentazione offerta dai rinvenimenti monetali, fino a quel periodo non circolavano monete straniere.

Questo ovviamente non significa che tale strumento fosse sconosciuto, ma conferma in modo inequivocabile che non si sentiva la necessità di produrlo e d'impiegarlo. D'altro canto, l'assenza di moneta coniata, non vuol dire che non fossero diffusi altri strumenti analoghi capaci di assolvere alle stesse funzioni.

E' noto ad esempio che, i Romani e le altre popolazioni indigene della penisola italica, adoperavano il bestiame (pecus) e il bronzo non lavorato (aes rude) come intermediari di scambio, misura del valore e della ricchezza. Questa consuetudine ha lasciato traccia indelebile in termini ancora in uso nella nostra lingua: capitale trae origine da capita (capi di bestiame), pecunia da pecus (beni mobili o gregge), peculio la peculium (piccolo gregge), erario da aerarium (riserva di aes, tesoro pubblico), stimare da aestimare (valutare il valore dell'aes), stipendio proviene da stipendium (quanto a ciascuno spetta), termine che traduce il concetto di pesare la parte di bronzo spettante (stipem pendere).

Del resto la tradizione letteraria romana vuole che almeno fino al V sec. a.C. il pagamento di alcune multe fosse regolato in capi di bestiame, e più specificatamente in buoi e pecore, arrivando a definire anche l'equivalenza in valore di 1:10 tra i primi e le seconde (lex Aterina Tarpeia e lex Menenia Sestia).

Nel V secolo a.C., il consolidarsi di forme di organizzazione politica e di relazioni basate su rapporti di produzione, avevano creato le condizioni per privilegiare, rispetto al bestiame, il metallo, e principalmente il bronzo, che univa alla praticità di trasporto, la scarsa deperibilità nel tempo e la possibilità di essere frazionato mantenendo proporzionalmente il proprio valore.

In una prima fase questo era scambiato a peso in una forma grezza (aes rude, fig.1), secondo una consuetudine probabilmente presa in prestito dagli Etruschi, che ne avevano diffuso l'impiego in molte aree della penisola direttamente influenzate dalla loro cultura. Il metallo era valutato secondo valori di peso stabiliti in base al sistema della libra, che si ritiene abbia avuto nella fase iniziale della monetazione romana il peso teorico di 327,45 g., ma l'attestazione di differenti valori per l'asse librale e la mancanza di specifiche indicazioni nelle fonti storiche, non ci permettono di affermare ciò con assoluta certezza.

Fig. 1 – Esempio di Aes Rude

Successivamente si ricorse all'impego di lingotti fusi entro forme quadrangolari sulle quali erano ricavati segni molto semplici, per lo più a ramo secco o a spina di pesce, i quali apparivano così in rilievo su questi pani una volta ultimate le operazioni di produzione: convenzionalmente queste forme prendono il nome di aes signatum, ossia “bronzo recante un impronta”, e caratterizzavano più o meno tutta l'Italia centrale. Durante il III secolo a.C. nuove effigi si affiancano a quella del ramo secco (ben 15 differenti finora catalogate), tutte senza iscrizione, tranne per una serie con aquila e pegaso in cui è indicata la legenda in latino “ROMANON” (cioè “Romanorum” ovvero “dei cittadini romani”; fig.2). Quest'ultima, secondo alcuni autori, sarebbe la serie di aes signatum di sicura produzione romana, oltre che per la leggenda, anche per la zone di ritrovamento.

Le testimonianze letterarie, supportate dai rinvenimenti archeologici che documentano in contesti italici ed etruschi la presenza di aes rude dal X fino al IV sec. a.C., mettono in discussione un noto e controverso passo di Plinio (N. H., XXXIII,43) secondo cui il re Servio Tullio (578-535 a.C.) fu il primo a contrassegnare il bronzo con la raffigurazione di un capo di bestiame, da cui il termine pecunia. Plinio probabilmente riporta una tradizione erudita che attribuisce al re, di origini etrusche, l'introduzione della moneta a Roma, ma è molto probabile che egli fu soltanto artefice di una normalizzazione delle misure e del valore del bronzo, provvedimento coerente con le riforme attribuitegli riguardo al census, la ricchezza patrimoniale dei cittadini.

Fig. 2 – Aes signatum con aquila e pegaso con leggenda ROMANON dei primi decenni del III a.C.

Tutto ciò dimostra che con l'aumentare delle esigenze dello stato romano in relazione alla sua espansione sociale, economica, politica e militare, più viva si fece l'esigenza di dotarsi di strumenti di pagamento man mano più efficienti. In questo contesto la nascita della moneta vera e propria fu una conseguenza logica in quanto costituiva un'ulteriore miglioria rispetto agli strumenti di pagamento premonetali: essa infatti evitava di ricorrere sempre alla pesatura del metallo ogni qual volta questo veniva impiegato in una transazione dato che lo Stato stesso si faceva carico di questa operazione una volta per tutte in occasione dell'emissione della moneta, e nel farlo vi imprimeva delle raffigurazioni e delle lettere a titolo di garanzia oltre che della corrispondenza ad un determinato standard ponderale.

 

1.2                La nascita della moneta

Dopo questa serie di premesse può forse risultare sorprendente che quando Roma, poco dopo il 326 a.C., ritenne necessario dare corso alla prima emissione monetale non abbia fatto riferimento diretto al sistema della libra imperniato sull'asse.

Prodotte, in principio, in scarso numero e saltuariamente, le emissioni seguono il modello e i valori ponderali della moneta napoletana, per cui sono tradizionalmente denominate serie “romano-campane”. Questa monetazione comprende nominali coniati in oro, argento e bronzo; solo quelli in argento, però, ebbero una reale importanza economica in quanto il bronzo fu coniato sporadicamente e l'oro emesso in una sola circostanza.

Tradizionalmente si è sempre ritenuto che la produzione coniata romano-campana rappresentasse un vero e proprio salto di qualità rispetto alla più antica monetazione fusa. In realtà gli studi più recenti, basati sull'esame dei ritrovamenti più che sullo stile, propendono per una datazione precedente a quella dell'aes grave, che potrebbe aggirarsi attorno alla fine del IV secolo a.C. A tal proposito Crawford opera due lungimiranti osservazioni: innanzitutto mette in evidenza come dal punto di vista concettuale la moneta fusa sia più evoluta con la struttura precisa del suo asse librale scandita dall'indicazione della marca di valore, assente nei nominali romano-campani; poi ricorda come Roma non chiedesse tributi agli alleati italici ma soldati e pertanto non aveva interesse ad attivare un vero e proprio circuito monetale nel centro Italia, mentre la sua espansione verso Sud necessitava di moneta per affrontare le spese militari.

L'officina che le produsse non fu quella di Roma, bensì quella di Neapolis: questa prima emissione fu caratterizzata da esemplari in bronzo di poco più di 6 grammi, i quali risultavano formalmente distinguibili dalle contemporanee monete napoletane (Testa di Apollo/ Toro androcefalo) solo per il fatto che recavano scritto ρωμαιων (“dei romani”) in luogo di νεοπολιτων (“dei cittadini di Neapolis”).

Evidentemente questa emissione rispondeva ad esigenze del tutto particolari la cui individuazione non può prescindere dal fatto che proprio in quegli anni Roma, in seguito alle vittoriose campagne militari contro i Sanniti prima (343-341 a.C.), e contro i Campani poi (340-338 a.C.), era arrivata ad espandere i propri confini fino al golfo di Napoli e proprio nel 326 a.C. aveva stipulato un trattato di alleanza (foedus aequum) con la stessa colonia greca di Neapolis che sancì l'inizio della conquista romana del Mezzogiorno (fig.3). Entro tale contesto acquista significato la prima emissione monetale romana, ossia operare in un'area già da lungo tempo abituata ad utilizzare un determinato tipo di moneta, adeguandosi ad un ordinamento monetale già consolidato con l'unico scopo di poter interagire con esso e con coloro che erano abituati a farvi ricorso.

Fig. 3 – Cartina dell'espansione militare di Roma repubblicana.

Alla prima produzione enea fece seguito una successiva emissione in argento (fig.4), che costituì una novità assoluta per il mondo romano che, come abbiamo visto, era abituato ad utilizzare il bronzo. D'altronde nel mondo greco, il metallo bianco, costituiva la base della produzione monetaria da quando questa era stata importata per la prima volta nella penisola nella seconda metà del VI sec. a.C. Anche questa circostanza ci aiuta a capire verso quali interlocutori Roma intendesse rivolgersi quando diede corso alla prima moneta in argento che non a caso corrisponde ad una doppia dracma di peso campano (7,3 g).

Fig. 4 – Didracma Marte/Protome equina. Zecca campana (310-300 a.C.). British Museum.

Non è ancora del tutto chiaro in quale officina monetaria sia stata coniata questa prima emissione: secondo le più recenti interpretazioni dei dati di ritrovamento, può collocarsi poco prima del 300 a.C., forse in relazione con la costruzione della via Appia che tra il 310 ed il 308 a.C. unì Roma a Capua. Le raffigurazioni che vi furono impresse sono, al diritto, una testa di Marte e, al rovescio, una testa equina sul cui collo correva la legenda ROMANO: quest'ultima scritta in caratteri latini, era il segno distintivo dell'autorità emittente espresso al genitivo in forma abbreviata (ossia “romanorum = “dei Romani”), secondo una consuetudine mutuata ancora una volta dall'ambiente magnogreco.

Recenti studi sostengono che, dopo l'emissione della seconda serie, molto probabilmente la zecca fu trasferita direttamente a Roma sulla base della tipologia inequivocabilmente romana con la testa di Eracle sul diritto e la lupa con i gemelli sul rovescio (fig.5). Per questa terza serie è stata proposta a buon diritto la datazione del 269/268 a.C. collegandola ai celebri passi di Plinio (N. H., XXXIII, 44) e di Livio (Epit. XV) nei quali si indicano rispettivamente il 485 e il 486 ab urbe condita come data per la produzione o l'uso della prima moneta d'argento a Roma.

Fig. 5 – Didracma Ercole/Lupa e gemelli. (269/268 a.C.). British Museum.

A questa emissione ne fecero seguito altre durante il III sec. a.C., così come proseguirono le emissioni di bronzi di ispirazione greca, almeno fino ai primi anni della Seconda Guerra Punica. Tutte queste giocarono un ruolo importante nel veicolare la politica espansionistica di Roma nell'Italia Meridionale, cosicché si tende a scandire la sequenza in riferimento a singoli avvenimenti o episodi di natura militare, quali la guerra contro Pirro (280-275 a.C., fig.3), la Prima Guerra Punica, la costruzione della flotta nel corso di quest'ultimo conflitto, ecc., sulla base di una relazione tra guerra e moneta che nel mondo antico sembra abbia avuto una valenza assolutamente determinante.

Intorno al 225 a.C. venne introdotto il nuovo tipo del quadrigato (fig.6), cosiddetto in quanto sul rovescio compare la quadriga di Giove guidata dalla Vittoria, mentre al diritto la testa di Giano (o testa gianiforme dei Dioscuri secondo la denominazione del Crawford).

Fig. 6 – Quadrigato (230-220 a.C.).

Non si trattò solo di un cambio tipologico ma anche di una vera e propria riforma quantitativa perché i coni usati per produrlo ammontano a migliaia contro le decine precedenti[17]. La causa doveva certamente essere la grande leva che i Romani effettuarono in questi anni per rafforzare la loro potenza militare.

L'unica coniazione aurea della serie romano-campana è rappresentata da due nominali rispettivamente di 6 e 3,3 g. circa detti “Oro del Giuramento” (statere e ½ statere) per la scena rappresentata sul rovescio accompagnata dalla scritta ROMA in esergo (fig. 7).

Fig. 7 – Oro del Giuramento (225 a.C.).

 

1.3                L'aes grave e le riduzioni ponderali

Inserite nella tradizione romana e centro-italica, la cui zecca è da localizzarsi con certezza nella stessa Roma, sono tutte le serie delle monete fuse in bronzo che generalmente vanno sotto il nome di aes grave (bronzo pesante). Appare facilmente intuibile che tali monete ebbero un'area di circolazione ed un bacino di utenza del tutto differenti rispetto a quelli degli esemplari romano-campani. Anche se vi sono delle sovrapposizioni parziali tra i rispettivi ambiti di diffusione, la circolazione dei pezzi fusi rimase limitata essenzialmente all'Italia centrale e, quindi, è evidente che l'aes grave era destinato essenzialmente ai bisogni di Roma stessa, oppure delle colonie romane e latine della penisola.

La maggior parte degli studiosi ritiene che tali emissioni presero avvio in coincidenza di un evento bellico, verosimilmente con la guerra contro Pirro (280-275 a.C.), ma ebbero uno straordinario incremento soprattutto durante la Prima Guerra Punica: in un periodo compreso fra il 289 e il 275 a.C. sarebbe stata creata la prima moneta sicuramente statale in bronzo fuso; secondo gli assertori di questa cronologia Roma, ormai vincitrice delle guerre sannitiche e padrona di tutta l'Italia centrale, si sarebbe sentita in dovere di dotarsi di una monetazione interna rispettabile. La data del 289 a.C. proposta dal Thomsen e da Zenhacker si accorderebbe con la notizia fornita da Pomponio (Digesto, I, 2, 2, 27-32) secondo cui in quell'anno sarebbe stato stabilito il primo collegio dei tresviri monetales.

Il sistema ponderale adottato era quello della libra, inizialmente corrispondente ad un asse (327 g. ca). Quest'ultimo si divideva in dodici once e aveva i seguenti sottomultipli: il semisse o mezzo asse, il triente o terzo di asse (pari a quattro once), il quadrante o il quarto di asse (pari a tre once), il sestante e l'oncia. Recavano tutti il valore espresso con il segno dell'unità (I) per l'asse, con (S) per il semisse e con tanti globetti (°) quanto erano le once per gli altri nominali. Tutti i nominali erano senza iscrizioni, non avevano cioè nessuna leggenda, neppure il nome Roma. L'uso della fusione per queste prime serie non deve meravigliare dato il peso delle monete stesse, soprattutto dei nominali maggiori, asse e semisse, che non permetteva la battitura.

La serie più nota e diffusa di aes grave è la serie “della prua” (225 a.C.; fig. 8), cosiddetta perché tutti i suoi nominali recano al rovescio una prua di nave, generalmente volta a destra. Questa serie continua per tutto il periodo della repubblica, fino alla prima metà del I secolo a.C. Al diritto vi sono le effigi di diverse divinità fisse a seconda dei nominali: sull'asse Giano (tipo originale romano), sul semisse Giove, sul triente Minerva, sul quadrante Ercole, sul sestante Mercurio, sull'oncia una testa femminile probabilmente Bellona.

Fig. 8 – Aes grave: asse da 267,17 grammi (230-220 a.C.). British Museum.

Il peso degli assi, e dei suoi sottomultipli, conobbe una graduale diminuzione nel corso del tempo sebbene il valore nominale resti invariato (v. tab.1). Assistiamo quindi ad emissioni di aes grave di peso differente.

Lo storico Theodor Mommsen (1817-1903) stimava il peso teorico della libbra latina in 273 g. Tale calcolo purtroppo è inconciliabile con i pesi effettivi rilevati che sono talvolta molto maggiori, quindi si è ipotizzato che in un primo periodo la libbra dell'aes grave fu quella romana di 327,5 g con i suoi sottomultipli; e solo in un secondo momento, fra il 270 e il 225 a.C., la libra dell'asse pesante dovrebbe essere stata quella osco-latina di 273 g. pari a 10 once di libra romana.

Al tempo della riduzione semilibrale, agli inizi del III secolo, Roma sarebbe ritornata alla sua libbra più pesante (327,5 g) che, d'ora in avanti, rimarrà la base o il piede di tutte le monetazioni fino alla caduta dell'Impero Romano. In questa fase un asse pesava quanto mezza libbra romana 163,5 g e i sottomultipli vennero adattati al nuovo peso dell'asse.

Tab. 1 – Riduzioni ponderali dell'aes grave secondo le datazioni di Crawford.

La politica di espansione di Roma come non dette tregua alle popolazioni italiche e italiote, così non la diede nemmeno alla sua moneta ufficiale, l'asse di bronzo, che alla fine del III secolo a.C. risultava soltanto di un ¼ di libra romana. Dopo l'assestamento monetario avvenuto subito dopo la conquista del Lazio, vengono via via emessi assi con un peso al di sotto di quello legale. Di emissione in emissione si arriva al 214 a.C., con un asse che pesa tre once, denominata quadrantale (81,75 g.). Le date dei diversi abbassamenti non sono certe, pur tuttavia non possono essere dissociate dagli avvenimenti bellici in cui Roma visse momenti di gloria, ma anche situazioni di grande pericolo con conseguenti crisi finanziarie: al contrario di quanto si possa pensare, la conquista dell'Italia centro-meridionale richiese sacrifici e anche la perdita nel potere d'acquisto della moneta. Le indennità di guerra non furono però in grado di far recuperare alla moneta il degrado subito a causa dei lunghi conflitti. Fu possibile fermarlo sanzionando di fatto la svalutazione dell'asse da 3 once librali a 2 (54,5 g.) e così i romani ebbero il c.d. asse sestantale, con i suoi sottomultipli ridotti di peso e di valore in proporzione. Contemporaneamente fu introdotta una nuova moneta in argento che cambiò radicalmente il sistema monetario romano: il denarius (v. par. 1.4).

Nel corso del II secolo a.C, Roma conobbe un'altra inflazione: l'asse sestantario di 2 once fu ridotto a un asse di una sola oncia e scese da 54,5 a 27,25 g.

Dopo un secolo abbondante di prosperità, Roma ripiomba nell'incubo delle lotte intestine del bellum sociale: la breve ma intensa lotta tra romani e italici comportò uno sforzo finanziario enorme portando inevitabilmente ad una nuova svalutazione dell'asse da un oncia a mezza oncia. In pratica il decreto di svalutazione, ovvero la Lex Plautia Papiria de aere publico, riconobbe una situazione di fatto, giacché il peso dell'asse veniva ribassato di emissione in emissione. Nel 91 a.C., ufficialmente, i romani, i latini e gli italici, ormai accomunati dalla cittadinanza, ebbero l'asse semionciale ossia di 1/24 dell'originaria libbra pari a 13,6 grammi circa.

 

1.4                La nascita del denarius e la sua diffusione

Roma entrò nella seconda guerra punica dotata del sistema monetario di cui si è detto finora, basato sostanzialmente sul quadrigato e sulle varie monete enee, e ne sarebbe uscita completamente trasformata con la creazione del denarius intorno al 211 a.C.

L'introduzione del sistema del denario romano è stata intesa dai numismatici e dagli storici come una vera e propria riforma della politica monetale di Roma, corrispondente all'avvenuta emancipazione dell'Urbe dall'influenza monetale delle città greche dell'Italia Meridionale. Mentre nella prima fase della sua monetazione d'argento Roma si era ispirata nella scelta dei tipi e del sistema ponderale agli stateri magno-greci, con il denarius   avrebbe introdotto un nominale di ideazione autonoma, corrispondente al quadruplo della sua unità di misura, lo scrupulum, all'interno di un sistema di multipli e di sottomultipli fondato sul contemporaneo utilizzo di tre metalli. I diversi nominali erano posti in reciproca relazione dai segni di valore che ne indicavano il potere d'acquisto, secondo un computo che aveva a base l'unità di bronzo, l'asse.

L'importanza storica del denarius consiste nell'avere rappresentato per circa cinque secoli, dalla fine del III sec. a.C. al III d.C. la principale valuta d'argento romana, il vero e proprio perno di un'economia le cui principali voci di spesa furono senza dubbio quelle militari. Ma la data e le motivazioni che portarono alla sua introduzione sono argomenti intorno al quale si è sviluppato un intenso dibattito tra gli studiosi, perché non vi è corrispondenza tra i dati letterari e la documentazione archeologica.

A parte una tradizione assolutamente minoritaria che identifica in Servio Tullio l'inventore della moneta d'argento, la maggior parte delle fonti antiche sembrano datare la sua introduzione nel 269-268 a.C. In particolare Plinio ci riferisce che in quella data (cinque anni prima dell'inizio della Prima Guerra Punica) i Romani “coniarono” per la prima volta l'argento, mentre Livio ricorda che i Romani “usarono” per la prima volta questo metallo. Gli studiosi moderni hanno variamente interpretato tali passi, ora sostenendo che si alludesse alla data d'inizio della monetazione in argento; ora ritenendo che i due autori si riferissero al denarius; ora, infine, che quella data segnasse il momento in cui iniziò ad operare la zecca di Roma per coniare moneta argentea.

La chiave di lettura di quest'episodio, la cui importanza non deve comunque essere sottovalutata vista l'attenzione dedicata dalle fonti antiche, va ricercata nelle parole impiegate da Livio, ossia nel fatto che nel 269-268 a.C. i Romani cominciarono ad usare l'argento. L'affermazione liviana può essere messa in relazione con quella di Dionigi di Alicarnasso il quale, parlando a proposito di una vendita avvenuta nel 269 di un bottino di guerra, riferisce che l'argento ricavato fu distribuito ai cittadini di Roma. Non possiamo sapere in quale forma tale distribuzione sia avvenuta, se in monete coniate romane o straniere o ancora in argento a peso, e del resto ciò appare di scarsa importanza: quello che va sottolineato è che probabilmente a questo avvenimento fu attribuita grande importanza poiché per la prima volta una società abituata all'uso del bronzo poteva disporre di un'altra forma di ricchezza, l'argento. Soltanto in un secondo momento autori come Plinio avrebbero interpretato tale disponibilità e tale uso del metallo bianco come l'avvio della produzione di monete in argento consolidando l'idea che il 269-268 a.C. coincidesse con la data di nascita della moneta argentea romana.

In mancanza di riferimenti sicuri, superato il sistema di datare in base allo stile o alle sole fonti letterarie che conducono ad esiti troppo soggettivi, non si può non riconoscere che il primo tentativo di offrire una cronologia oggettiva sia stato, ancora una volta, operato dal Crawford in RRC, fondato sostanzialmente sull'analisi dei ritrovamenti e sullo studio delle monete riconiate. Dunque intorno al 212-211 a.C. il denario fu introdotto come cardine di un nuovo sistema monetario in contemporanea con la riduzione sestantale dell'asse.

Questa datazione è basata, oltre che su molte coincidenze, anche sull'evidenza archeologica degli scavi di Morgantina in Sicilia. Verso la fine degli anni cinquanta, infatti, gli archeologi dell'Università di Princeton trovarono nel santuario di Demetra e Kore, distrutto nel 214 o nel 211 dal fuoco durante la riconquista dei Romani, alcuni esemplari fra i più antichi della serie denariale di conservazione quasi fior di conio; il che significa che non avevano circolato e che erano stati coniati da poco.

Questo nuovo sistema basato sul denario d'argento è stato attuato nel corso del conflitto contro Annibale intorno al 211 a.C., in un momento critico per Roma a causa dell'inopia aerari, cioè dell'indisponibilità di fondi pubblici, per le difficoltà nel reperimento di risorse per le spese di guerra. La riforma stabilisce un rapporto stabile tra l'argento e il bronzo, fissando a 10 assi il valore della nuova unità monetaria d'argento, dal peso di circa 4,50 g.

Tutte le emissioni del sistema del denario, nelle serie iniziali, presentano tipi fissi e contrassegni indicanti il valore. Denario, quinario e sesterzio hanno al diritto la testa di Roma e i segni del rispettivo valore in assi (X, V, IIS = 2 assi e un semisse); al rovescio presentavano i Dioscuri a cavallo e la legenda ROMA (fig.9). La presenza di Castore e Polluce, si riallacciava in atmosfera bellica, al loro leggendario intervento in favore dei romani sul lago Regillo contro i Volsci e i Latini nel 499 o 496 a.C. è molto probabile che il tipo sia stato mutuato dalla monetazione dei Brettii oppure dai bronzi siracusani dell'epoca di Gerone II e Geronimo.

Fig. 9 – Denario (fine III sec. a.C.).

Gli sforzi della guerra annibalica dovettero essere ingenti e si fecero sentire anche negli anni successivi alla sua conclusione, così in un secondo imprecisato momento, il peso del denario fu ridotto a 3,90 g.; mentre in una data difficile da precisare, ma che di solito si indica intorno al 140 a.C. (RRC, II, 613) il denario venne ritariffato e il suo valore fu portato da 10 a 16 assi, ma continuò ad avere il numero X in accordo con il cambio per i soldati, per i quali si continuò a quotarlo a 10 assi sestantali anziché a 16 assi onciali. Fu questa una specie di imposta a carico di chi non era sotto le armi (la svalutazione colpì anche il vittoriato che fu ridotto dal 3,4 a 2,9 g.).

Contemporaneamente al denario fu introdotto anche il vittoriato, moneta cosi chiamata anche dalle fonti perché presentava sul rovescio una vittoria che incorona un trofeo di armi, con leggenda ROMA in esergo, e al diritto testa laureata di Giove (fig.10). I vittoriati si dividono in tre gruppi e si conoscono anche rarissimi doppi vittoriati e mezzi vittoriati. Questa moneta era coniata con un peso di 1/96 di libbra romana, cioè 3 scrupoli (3,4 g. ca), corrispondente a ¾ del denario; questo rapporto si mantenne stabile anche quando il denario fu decurtato di peso da 1/72 a 1/84 di libbra (il vittoriato pesava 2,85 g. ca). Intorno al 120 a.C. la produzione del vittoriato venne sospesa per poi essere ripresa poco prima del 101 a.C. (RRC, II, 610) col il peso di mezzo denario, sostituendo di fatto il quinario. Questo passaggio ci è testimoniato anche da Plinio (N.H., XXXIII, 13, 46) citando a tal proposito la lex Clodia.

Fig. 10 – Vittoriato (fine III sec. a.C.).

Va detto che il vittoriato rappresenta una moneta dalla funzione alquanto enigmatica. è impensabile che il nominale avesse, almeno inizialmente, una funzione commerciale dal momento che il suo contenuto di argento si aggira, secondo le diverse analisi effettuate, fra il 65 e l'80 % ed è difficile che i Romani potessero usarlo come mezzo di scambio con i Greci e la Sicilia abituati ad una moneta qualitativamente migliore. Altrettanto impensabile appare quanto riferito da Plinio che il vittoriato fosse in qualche modo collegato all'Illirico forse facilitandone il conguaglio con la dracma (3,4 g.) visto che in questa regione non sono stati segnalati ritrovamenti significativi.

In realtà, oggi, si ritiene che i molti vittoriati ritrovati in Spagna e prodotti probabilmente nel corso della II guerra punica riconducano questa moneta alla suo originario significato militare, innegabile nell'impressione del rovescio.

Una suggestiva ipotesi in questo senso è quella avanzata dallo studioso belga P. Marchetti secondo cui il vittorio avrebbe costituito la valuta con cui i Romani pagavano gli “auxilia”, cioè le truppe straniere che percepivano uno stipendio inferiore rispetto a quello dei soldati romani. Lo Stato avrebbe in pratica frodato gli “auxilia” pagandoli con una moneta adulterata, ma non tanto da rendere la truffa tanto evidente, oppure potrebbe essere che gli stessi “auxilia” gradivano questa moneta poiché simile nel peso alla dracma.

Ancora più limitata nel tempo è la coniazione di tre serie nominali in oro, il cosiddetto “Oro Marziale” per la testa di Marte al diritto e l'aquila sul fulmine al rovescio con la leggenda ROMA in esergo (fig.11); contemporanee ai primi denari esse recavano il marchio del loro differente valore 60, 40 e 20 assi.

Fig. 11 – Oro marziale dal valore di 60 assi (fine III sec. a.C.).

Le vittorie su Annibale e Cartagine (battaglia di Zama 202 a.C.), su Filippo V di Macedonia (197 a.C.) ed Antioco III di Siria (191 a.C.) comportarono l'acquisizione di grandi ricchezze per i risarcimenti, indennità di guerra e migliaia di tonnellate d'argento riempiono le casse dello Stato Romano. Roma, assunto il controllo sul Mediterraneo, amplifica il gettito monetario e la sua moneta domina incontrastata nella penisola italica e in Sicilia. La produzione monetaria è ricondotta alla sola zecca urbana e sui denari iniziano a comparire nuovi tipi (la Vittoria, Giove, Diana, Giunone su carro, ecc.) accompagnati dai monogrammi e dai simboli indicanti il nome dei magistrati responsabili dell'emissione.

Intorno alla metà del secolo (140 a.C.) è decretata per tutto lo Stato la ritariffazione del denario reso equivalente a 16 assi e sulla moneta il valore è espresso talvolta con il numerale XVI. Tale riduzione del valore del denario fu probabilmente conseguenza del fatto che il peso dell'asse durante la prima metà del secolo si era di fatto progressivamente ridotto fino a raggiungere lo standard unciale (un asse pesava quanto un oncia 27 g). Le conseguenze di questa riforma furono l'abbandono dell'asse come unità di conto in favore del sesterzio e la cessazione della sua stessa coniazione a partire dal 146 a.C. almeno fino agli anni '90 del secolo successivo.

Il denario, invece, assunse nella seconda metà del II sec. a.C un ruolo sempre più importante estendendosi in molti degli ambiti prima riservati alla moneta di bronzo e la sua produzione aumentò in maniera straordinaria grazie, come suggerisce il Crawford, alla riapertura delle miniere d'oro e d'argento del Pangeo nella Grecia settentrionale (157 a.C.). In tali circostanze non stupisce il fatto che il denario sia divenuto il più importante e conosciuto nominale argenteo del Mediterraneo: le dimensioni della sua diffusione raggiunsero livelli tali che le stesse autorità romane preposte all'emissione non giudicarono più indispensabile continuare a porre le raffigurazioni e le legende tradizionali su queste monete, dato che in ogni caso ne sarebbe stato riconosciuto il valore e l'autorità emittente. Fu quindi lasciata ai magistrati monetari la più ampia facoltà di scegliere le tipologie e le legende da proporre sulle monete. Le nuove raffigurazioni celebravano la gens di appartenenza e il prestigio dei magistrati monetari in carica attraverso le immagini allusive di divinità tutelari, di imprese militari, di miti legati alle tradizioni familiari, di episodi di vita pubblica, di monumenti eretti a cura della propria gente.

Con un medesimo intento propagandistico gli italici insorti contro Roma scelgono le immagini da apporre sui denari battuti negli anni del bellum sociale (90-87 a.C.; fig.12), tese ad esaltare l'alleanza fra i popoli della confederazione. Eloquente il tipo della lupa romana schiacciata dal toro italico propugna la forza dell'esercito dei socii; la testa femminile al diritto con la legenda in latino o in osco indica trattarsi dell'Italia, rappresenta la più antica raffigurazione della personificazione del concetto di unitarietà tra le popolazioni italiche.

                                                D/ testa d'Italia   R/ toro italico che schiaccia la lupa

                              D/ testa d'Italia   R/ Giuramento a otto della Confederazione Italica

Fig. 12 – Denari del Bellum Sociale (90-87 a.C.). ANS database.

Dopo la guerra sociale scoppiano a Roma le lotte intestine per l'affermazione del potere personale dei capi delle fazioni (a fasi alterne Silla, Mario, Pompeo, Cesare, Marco Antonio, Ottaviano). La turbolenta situazione politica determina varie conseguenze in campo monetario, tra cui, innanzitutto, lo sviluppo della monetazione detta “imperatoria” o “militare” parallela alla monetazione urbana, battuta nei luoghi dove si spostano le legioni per pagare le truppe e provvedere agli approvvigionamenti. Questa pratica, in precedenza, si era limitata a poche occasioni autorizzate dal Senato. A partire dal tempo di Silla, il fenomeno assume dimensioni vistose; in seguito con Cesare dopo il passaggio del Rubicone del 49 a.C., le coniazioni “imperatorie”, emesse a cura dei comandanti delle armate o dei loro questori, diventano usuali. Negli ultimi decenni della Repubblica, un segnale dell'accentramento del potere individuale sono i tipi monetali impressi sulle monete che, se in precedenza si erano limitati a rappresentare uomini e fatti del passato, ora si riferiscono a personaggi ed eventi contemporanei. Cesare è il primo ad ottenere il privilegio di riprodurre il suo ritratto sulla moneta, onore designato dal Senato poco prima della morte per mano di Bruto e Cassio (fig. 11).

Fig. 13 – Denario di Bruto esaltante l'uccisione di Cesare (43-42 a.C.). British Museum.

Altra importante innovazione del periodo è il moltiplicarsi di emissioni in oro. In precedenza vi erano solo due coniazioni auree propriamente romane, quella del “giuramento” e quella dell'oro “marziale”. Con Silla, poi con Pompeo e soprattutto con Cesare si afferma la coniazione della moneta in oro in conseguenza del gran quantitativo di metallo prezioso ricavato nelle guerre di conquista. Il denarius aureus, tagliato sul sistema romano della libra, è battuto da vari generali per finanziare le imprese militari e come forme di ostentazione del proprio operato e affermazione di prestigio. Gli anni di Cesare (dal 46 al 44 a.C.) sono quelli in cui a Roma si conia più oro, data l'abbondanza del bottino riportato dalla conquista della Gallia.

Fig. 14 – Aureo di Cesare e Marco Antonio (43 a.C.). British Museum.

Per le loro coniazioni in oro e in argento, i vari personaggi che si contendevano il potere, hanno sempre usato un'ottima qualità di metallo prezioso: il titolo della lega e il peso delle loro monete sono gli stessi di quelle prodotte, in numero sempre più ridotto, dal Senato. Unica eccezione è rappresentata dai denari che Marco Antonio emette nel 32-31 a.C. per pagare legioni e coorti al suo comando, i cosiddetti “denari legionari” in pessima lega di argento come ricorda lo stesso Plinio (N.H., XXXIII, 46).

Articolo Pubblicato nel Bollettino del Circono Numismatico Partenopeo II - 2015


Dott. Marco C. Esposito

26/08/2016

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